29.10.14

IL CENTENARIO CHE SALTÒ DALLA FINESTRA E SCOMPARVE di JONAS JONASSON

Finalmente ho finito di leggere Il centenario che saltò dalla finestra e scomparve (2009) di Jonas Jonasson. Mi era capitato di vedere il libro in versione cartacea nelle vetrine delle edicole aeroportuali e il titolo mi era rimasto impresso. Quando ho ricevuto la newsletter di Amazon che presentava questo bestseller internazionale, diventato famoso grazie al passaparola tra lettori, mi sono convinta a scaricarlo sul Kindle. 


L'autore


Jonas Jonasson è un famoso ex-giornalista e produttore televisivo svedese. 
In seguito ad un periodo lavorativo estremamente stressante che lo portò a soffrire di esaurimento nervoso, Jonasson decise di vendere la sua compagnia (per dieci milioni di Sterline) e di rifugiarsi a vita privata, nella zona del Ticino. Qui terminò di scrivere la storia che aveva in mente da sempre e il suo primo romanzo uscì in Svezia nel 2009. Da allora Il centenario che saltò dalla finestra e scomparve è stato tradotto in trenta lingue e poco tempo fa è uscito l'omonimo film.


La trama


Allan Karlson compie cent'anni. Un'ora prima dell'inizio della sua festa di compleanno alla casa di riposo, l'anziano scompare senza motivo. Chi lo cerca troverà una serie infinita di indizi contrastanti, mentre il lettore seguirà parallelamente le vicende di Allan oggi e l'incredibile entusiasmante vita di Allan dal 1905 al 2005. A far da corollario alle sue avventure ci saranno Mao Tse Tung, Winston Churchill, il fratellastro stupido di Albert Einstein e l'elefante Sonya, solo per nominarne alcuni.


Istruzioni per l'uso


In queste settimane si è discusso su vari lit-blog degli insegnamenti insiti in un brutto libro. In questo senso non posso non consigliare di leggere la storia del centenario, perché mi ha stimolato interessanti riflessioni su ciò che non voglio fare quando scrivo. Ho già parlato nel post sui personaggi memorabili di quanto sia importante creare personaggi con cui ci si possa identificare; oggi invece vorrei parlare dell'ultimo capitolo di una storia.

I manuali di scrittura consigliano di cominciare a pensare al finale del romanzo che si sta scrivendo a metà della prima stesura, o addirittura prima di cominciare a scrivere la storia. Non è detto che non si possa poi cambiare idea duranti i lavori in corso, ma è utile avere una traccia di dove si vuole arrivare con la propria storia. 
In genere si fa riferimento a tre tipi di finale:

- il finale chiuso, che risolve tutti i fili della trama e, nel bene o nel male, rappresenta la liberazione, il termine della tensione, la risoluzione, la pace dell'anima. 

- il finale aperto, che lascia il dubbio nella mente del lettore, sperando che continui a riflettere sul cosa accadrà dopo e immagini il finale che preferisce.

- il finale circolare, che torna al punto di partenza, pur coi cambiamenti avvenuti nei personaggi.

Jonasson sceglie un finale che non riesco a inserire in alcuna di queste categorie, o meglio le rappresenta tutte e tre. Mi fa pensare ai finali infiniti di film mastodontici come Titanic e Australia.
Ho cercato online ma non ho trovato informazioni specifiche su questo tipo di finale, che potrebbe avere un nome tecnico, me lo direte voi che siete più esperti di me. Io per ora lo definirò il finale a più riprese.
L'autore gioca col pubblico, solleticandolo con l'illusione che la storia sia finita tramite scene definitive, conclusive, che però continuano a susseguirsi, frustrando chi legge.

Vediamo il caso specifico:

- Jonasson termina il suo racconto, chiudendo tutte le questioni in sospeso, con un ritmo naturale, scegliendo un finale accettabile e piacevole (finale chiuso).

- Girando pagina si scopre invece un altro capitolo, inutile ai fini della trama, corto e divertente, in cui l'eroe stravolge completamente l'immagine di sé agendo contrariamente a ciò che è stato il suo carattere per l'intero romanzo (finale aperto).

- Non contento, Jonasson aggiunge un altro capitoletto in cui ripete parola per parola il primo capitolo (finale circolare). 

- Dulcis in fundo arriva l'epilogo, che di nuovo lascia al lettore l'impressione di non aver capito nulla del personaggio principale né dello scopo dell'autore.


L'angolo del follower


Non capisco il senso di scegliere un finale a più riprese, lo trovo ridondante e frustrante. Cosa ne pensate? Lo usereste per le vostre storie? 

Buone parole a tutti!

11 commenti:

  1. Per come lo descrivi, cercherò di stare alla larga da questo genere di finale sia come lettrice che come autrice!

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  2. Non credo proprio che mi verrà mai la tentazione di scrivere un finale multiplo! Come lettrice già vado poco d'accordo con i finali aperti, che mi sembrano un po' una fregatura (ma come, mi racconti tutta la storia e poi mi lasci indovinare come finisce?). I finali chiusi mi soddisfano di più, in generale, e anche quelli circolari. Dipende dalla storia, in realtà, perché sono sempre più convinta che tutto può piacere, se scritto bene e nel contesto della storia giusta.

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    1. Sono d'accordo che il contesto della storia può giustificare un tipo di finale piuttosto che un altro. Il finale dovrebbe seguire il ritmo della storia e risultare naturale, come una ovvia conseguenza. Non si può cambiare il carattere del protagonista nelle ultime pagine, il lettore rimane con la sensazione di essere stato preso in giro.

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  3. Io invece mi sono incuriosita per questo strano romanzo, anche se posso capire la tua delusione.
    Con le conclusioni personalmente ho sempre qualche problema, ma in linea di massima penso che ci siano storie in cui un finale chiuso sia impossibile e che l'apertura sia più che giustificata. Ok, lo ammetto, parlo per interesse personale :)

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    1. Non mi sorprenderò allora di trovare un finale aperto nei tuoi romanzi :)
      Se decidi di leggere il Centenario fammi sapere cosa ne pensi!

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  4. Se ho ben capito cosa intendi per "finale a più riprese", mi viene in mente quello che ha rovinato il film "Django unchained" di Tarantino.

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    1. Pare proprio di sì, ho guardato gli ultimi dieci minuti di film e lo farei finire all'esplosione. Questo "tirarla per le lunghe" va molto di moda adesso a Hollywood, hai visto "The wolf of Wall Street"? Sarebbe un film bellissimo se durasse un'ora e mezzo anziché tre.

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    2. non l'ho visto ancora. Vorrà dire che ne guarderò solo metà :P

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